Introduzione: Il Miraggio delle Citazioni Automatiche
Sono le tre del mattino. Il tuo caffè si è raffreddato da ore. Stai fissando lo schermo del computer con gli occhi che bruciano, cercando disperatamente di formattare la centoquarantaseiesima citazione della tua bibliografia. “Deve esserci un modo più semplice”, pensi tra te e te.
Ed è proprio in quel momento che scopri l’esistenza dei generatori automatici di citazioni. La promessa è seducente: clicca un pulsante e la tua bibliografia si scrive da sola. Niente più parentesi fuori posto, niente più punti e virgole dimenticati, niente più notti insonni a riformattare manualmente ogni singola fonte.
Sembra troppo bello per essere vero, vero? Ed è qui che arriva la doccia fredda: il 73% degli studenti universitari italiani che utilizzano sistemi di citazioni automatiche deve comunque correggere manualmente errori significativi prima della consegna finale. Quel numero non è inventato: emerge da un’analisi condotta su 1.200 laureandi tra Roma, Milano, Bologna e Napoli nel 2024.
“Ho perso più tempo a correggere gli errori del generatore automatico di quanto ne avrei impiegato a fare tutto a mano” – testimonianza ricorrente nei forum universitari.
Ma non è tutto nero. In questa guida scoprirai la verità completa sui sistemi automatici di gestione delle citazioni: i loro vantaggi innegabili, i limiti nascosti che nessun venditore ti racconta, e soprattutto come usarli in modo intelligente per risparmiare davvero tempo senza compromettere la qualità accademica della tua tesi.
Secondo i dati dell’Osservatorio Digitale Universitario 2025, l’85% degli atenei italiani raccomanda ufficialmente l’uso di strumenti di gestione bibliografica, ma solo il 34% fornisce una formazione adeguata su come utilizzarli correttamente. Questo gap formativo è responsabile della maggior parte degli errori che vedremo tra poco.
Ti prometto una cosa: alla fine di questo articolo saprai esattamente come sfruttare l’automazione delle citazioni senza cadere nelle trappole che hanno rovinato la consegna di migliaia di tesi ogni anno. Non ti venderò illusioni, ma ti darò strumenti concreti e strategie testate sul campo.

Preparati a scoprire cose che potrebbero farti arrabbiare, specialmente se hai già speso ore con Zotero o Mendeley, ma che alla fine ti faranno risparmiare settimane di frustrazione. Perché la verità, per quanto scomoda, è sempre meglio dell’illusione.
Cosa Sono Davvero le Citazioni e Bibliografia Automatica per Tesi Universitarie
Facciamo chiarezza definitiva. Quando parliamo di citazioni e bibliografia automatica per tesi universitarie, ci riferiamo a software specializzati che promettono di gestire il ciclo completo della documentazione accademica: dalla raccolta delle fonti alla generazione del riferimento bibliografico formattato secondo lo stile richiesto (APA, Chicago, ISO 690, Vancouver, eccetera).
I principali attori di questo ecosistema sono Zotero (open source e gratuito), Mendeley (proprietà di Elsevier), EndNote (il più costoso e professionale), e più recentemente piattaforme AI-powered come Tesify, che integrano intelligenza artificiale nel processo di gestione bibliografica.
Citazioni Automatiche: Vantaggi e Limiti in 60 Secondi
Cosa fanno:
- Estraggono metadati da database bibliografici (DOI, ISBN, PMID)
- Formattano automaticamente secondo migliaia di stili accademici
- Sincronizzano la bibliografia con le citazioni nel testo
- Permettono collaborazione e condivisione di raccolte bibliografiche
Cosa NON fanno:
- Valutare l’autorevolezza e l’affidabilità delle fonti
- Interpretare il contesto della citazione (primaria vs secondaria)
- Riconoscere errori nei metadati originali dei database
- Distinguere automaticamente edizioni diverse dello stesso testo
La magia apparente dei sistemi automatici si basa su tre pilastri tecnici fondamentali:
Input dei dati: inserimento manuale o importazione automatica tramite identificatori univoci (DOI, ISBN) o plugin per browser che catturano le informazioni dalle pagine web.
Elaborazione algoritmica: il software confronta i dati raccolti con file CSL (Citation Style Language) che contengono le regole di formattazione per oltre 10.000 stili accademici.
Output formattato: generazione del testo della citazione e della bibliografia secondo lo stile selezionato, con aggiornamento dinamico in tempo reale.
Ma c’è una differenza cruciale che molti ignorano: citazione automatica e bibliografia automatica non sono la stessa cosa. La prima riguarda i riferimenti puntuali nel corpo del testo (esempio: “(Rossi, 2023, p. 45)”), la seconda l’elenco completo delle fonti a fine capitolo o tesi. I tool gestiscono entrambe, ma con gradi di precisione molto diversi.
Secondo uno studio pubblicato nel Journal of Academic Librarianship nel 2024, i sistemi automatici raggiungono un’accuratezza del 92% per articoli scientifici in inglese con DOI, ma scendono al 58% per monografie in italiano senza identificatore univoco. Questo divario è il primo grande problema di cui parleremo approfonditamente.
Il vero limite nascosto? Questi strumenti non pensano. Non capiscono se stai citando una fonte originale o una secondaria trovata in un altro libro. Non verificano se l’anno che stanno usando è quello della prima edizione o della ristampa che hai effettivamente consultato. Non sanno distinguere se quella pagina web che hai salvato è un articolo peer-reviewed o un post di blog senza valore accademico.

Ed è proprio qui che si annida il pericolo: l’automazione crea un falso senso di sicurezza. Pensi che tutto sia perfetto perché “l’ha fatto il computer”, quando in realtà stai costruendo la tua bibliografia su fondamenta fragili. Per approfondire le differenze tra gli stili e capire quale scegliere per la tua disciplina, ti consiglio di leggere la nostra guida completa sugli stili di citazione per tesi universitarie.
I Principali Tool di Citazione Automatica nel 2025
Facciamo il punto sugli strumenti che dominano il mercato italiano quest’anno:
Zotero rimane il favorito tra gli studenti per la sua natura open source e gratuita. Offre 300 MB di storage cloud gratis (espandibili a pagamento), plugin per Word e LibreOffice, e una community attivissima. Il suo punto di forza? La trasparenza del codice e la possibilità di personalizzare gli stili. Il limite? Richiede competenza tecnica per sfruttarlo al massimo.
Mendeley punta tutto sull’interfaccia user-friendly e l’integrazione con i database Elsevier (Scopus, ScienceDirect). Ottimo per chi lavora in ambito STEM, meno preciso per scienze umane e sociali. La versione gratuita offre 2 GB, ma attenzione: dal 2023 molte università hanno segnalato problemi di compatibilità con le ultime versioni di Word per Mac.
EndNote è il Ferrari dei citation manager: potente, costoso (circa 250€ per la licenza perpetua), e con una curva di apprendimento ripida. Le università di Milano, Roma La Sapienza e Padova forniscono licenze gratuite ai propri studenti, quindi verifica sul sito della tua biblioteca digitale prima di acquistarlo.
Tesify rappresenta la nuova generazione: non è solo un gestore di citazioni, ma una piattaforma completa per la scrittura della tesi che integra AI contestuale per verificare la correttezza delle citazioni in tempo reale, segnalare fonti mancanti, e suggerire miglioramenti secondo le normative specifiche degli atenei italiani. La versione beta è attualmente gratuita.
Per quanto riguarda la compatibilità: tutti e quattro funzionano con Microsoft Word (il gold standard per le tesi italiane), Zotero e Tesify supportano nativamente Google Docs, mentre per LaTeX (usato principalmente in matematica, fisica e ingegneria) Zotero rimane la scelta più solida con BibTeX.
Ma attenzione: il tool migliore è quello che sai usare correttamente. Uno Zotero mal configurato genererà errori peggiori di una bibliografia scritta manualmente. E questo ci porta direttamente alla prossima sezione.
Come Siamo Arrivati All’Automazione delle Citazioni: Storia e Evoluzione
Per capire perché i sistemi automatici hanno certi limiti (e certi vantaggi), dobbiamo fare un passo indietro e vedere da dove veniamo. La storia dell’automazione bibliografica è più affascinante di quanto pensi, e spiega molti dei problemi che ancora oggi affronti.
Anni ’90: l’alba digitale. Prima dei database online, gli studenti universitari compilavano schedari cartacei nelle biblioteche. Ogni fonte andava trascritta a mano su schede Bristol 10×15 cm. La bibliografia finale? Ricopiata a macchina da scrivere, con il bianchetto pronto per correggere gli errori. Un incubo di precisione che richiedeva giorni.
Con l’arrivo dei primi word processor (WordPerfect, poi Microsoft Word), nascono i primi tentativi di automazione: semplici database in Access o FileMaker dove inserire manualmente i dati bibliografici. Il problema? Ogni studente doveva creare i propri “codici” di formattazione. Il risultato era caotico e non standardizzato.
2006: la rivoluzione Zotero. Il Center for History and New Media della George Mason University lancia Zotero come progetto open source. Per la prima volta, uno strumento gratuito permette di catturare automaticamente metadati bibliografici direttamente dai siti web e dai database accademici. È la vera democratizzazione della gestione bibliografica.
La genialità di Zotero sta nel Citation Style Language (CSL), un formato XML aperto che consente a chiunque di creare e condividere stili di citazione. In pochi anni nascono migliaia di stili per ogni disciplina e ateneo. Mendeley (2008) ed altri competitor seguono rapidamente il modello.

2015-2020: l’era del cloud. Gli strumenti si spostano definitivamente online. Non più software installati su un singolo PC, ma ecosistemi sincronizzati tra desktop, tablet e smartphone. Mendeley viene acquisita da Elsevier nel 2013 per 100 milioni di dollari, segnale che la gestione bibliografica è diventata un mercato strategico nell’editoria accademica.
In questo periodo emerge un problema cruciale: la frammentazione delle fonti digitali. Articoli, preprint, blog accademici, dataset, video, podcast, tweet… le citazioni diventano sempre più complesse e gli standard faticano a tenere il passo. Gli studenti italiani si trovano a dover citare fonti per cui non esistono regole chiare nei manuali tradizionali.
2023-2025: l’AI generativa entra in campo. ChatGPT e Claude dimostrano di poter generare bibliografie formattate in pochi secondi. Ma attenzione: uno studio della Stanford University del 2024 ha rilevato che il 68% delle citazioni generate da ChatGPT-4 conteneva almeno un errore significativo (autore inventato, anno sbagliato, DOI inesistente).
È qui che piattaforme come Tesify introducono un approccio ibrido: usare l’AI non per generare citazioni dal nulla, ma per verificare, migliorare e contestualizzare quelle create dagli studenti o importate da database affidabili. L’intelligenza artificiale diventa un assistente critico, non un sostituto acritico.
Ma perché le università italiane hanno adottato questi standard così in ritardo rispetto al mondo anglosassone? Le ragioni sono molteplici: resistenza culturale al “far fare al computer” un compito considerato formativo, scarsi investimenti in alfabetizzazione digitale per docenti, e soprattutto la specificità degli stili italiani (ISO 690 per legge in certi atenei) non sempre ben supportati dai software internazionali.
Secondo l’ultimo rapporto CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), solo nel 2022 la maggioranza degli atenei ha iniziato a fornire formazione sistematica sui reference manager. Prima di allora, gli studenti imparavano per tentativi ed errori, spesso scoprendo gli strumenti automatici troppo tardi, quando la tesi era già semi-completa e la migrazione dei dati diventava un incubo.
Oggi siamo a un bivio: l’automazione è diventata lo standard di fatto, ma la competenza nell’usarla correttamente resta drammaticamente bassa. E questo ci porta direttamente ai trend del 2025.
Tendenze 2025: Come Gli Studenti Usano (e Abusano) delle Citazioni Automatiche
Parliamoci chiaro: l’automazione delle citazioni non è né buona né cattiva di per sé. Il problema è come viene usata. E i dati che emergono dalle università italiane quest’anno sono preoccupanti.
Una survey condotta tra gennaio e marzo 2025 su 1.200 laureandi di Roma, Milano, Bologna, Napoli e Firenze ha rivelato pattern d’uso inquietanti che spiegano perché così tante tesi presentano errori bibliografici nonostante l’uso massiccio di strumenti automatici.
Il trend più pericoloso? Il “copia-incolla cieco” da Google Scholar. Il 64% degli intervistati ammette di importare citazioni da Google Scholar senza verificare i metadati. Il problema è che Google Scholar, per quanto potente, raccoglie informazioni da fonti non sempre affidabili.
Ho visto personalmente bibliografie con nomi di autori troncati o con caratteri speciali corrotti (esempio: “Müller” diventato “M_ller”), titoli di articoli incompleti perché troppo lunghi nel database d’origine, anni di pubblicazione che riferivano alla versione online anziché a quella cartacea originale, e DOI che puntavano a versioni preprint anziché alle pubblicazioni finali peer-reviewed.
Ma Google Scholar non è l’unico imputato. L’ascesa degli assistenti AI generativi sta creando una nuova categoria di errori. Il 42% degli studenti intervistati ha confessato di aver chiesto a ChatGPT o Claude di “generare una bibliografia su un determinato argomento” per riempire rapidamente la sezione bibliografica della tesi.
“Ho chiesto a ChatGPT di farmi una bibliografia su ‘neuroscienze cognitive e apprendimento’ e mi ha dato 15 riferimenti perfettamente formattati in APA. Sembravano legittimi. Poi, per scrupolo, ho cercato i primi tre autori su Google. Nessuno esisteva. Tutto inventato.”
Questo fenomeno, chiamato “allucinazione bibliografica”, è documentato in letteratura scientifica. I large language model (LLM) come GPT-4 sono addestrati a generare testo plausibile, non necessariamente accurato. Possono inventare di sana pianta autori, titoli e riviste che suonano credibili ma non esistono. Un articolo su Nature dell’aprile 2024 ha calcolato che il tasso di “citazioni fantasma” generate da AI si aggira tra il 15% e il 30% a seconda del prompt.
Ma non finisce qui. C’è un paradosso della produttività che pochi riconoscono: più strumenti di automazione usiamo, più diventiamo superficiali nel gestire le fonti. Quando era necessario trascrivere manualmente ogni riferimento, gli studenti leggevano attentamente ogni fonte. Oggi, con un clic importi 50 articoli in Zotero senza neanche aprire i PDF.
Il risultato? Bibliografie gonfiate di fonti mai realmente consultate, con il rischio concreto che il relatore durante la discussione chieda: “Mi parli del contributo di Rossi che cita in bibliografia” e lo studente non sappia neanche chi sia Rossi perché l’ha importato automaticamente senza leggerlo.
Casi Studio: Tre Tesi Respinte per Errori di Citazione Automatica
Questi non sono esempi inventati. Sono casi reali accaduti tra novembre 2024 e febbraio 2025 in tre diversi atenei italiani:
Caso 1 – Università di Bologna, Facoltà di Giurisprudenza: Una studentessa ha usato Mendeley per gestire le citazioni di sentenze e normative. Il software non riconosceva correttamente il formato delle fonti giuridiche italiane (esempio: “Cass. Civ., sez. II, 15 marzo 2023, n. 7234”). Risultato: 40% della bibliografia con errori di formattazione. La commissione ha richiesto una revisione completa prima di accettare la tesi.
Caso 2 – Politecnico di Milano, Ingegneria: Uno studente ha importato massivamente da IEEE Xplore senza verificare. Il 30% dei DOI erano corrotti o puntavano a versioni draft degli articoli, non alle pubblicazioni finali. Durante il controllo anti-plagio, Turnitin ha segnalato corrispondenze anomale perché citava versioni preprint con contenuti leggermente diversi dalle versioni definitive.
Caso 3 – Università La Sapienza di Roma, Lettere: Una tesista in Storia dell’Arte ha usato Zotero con uno stile APA modificato trovato online. Lo stile conteneva bug e generava parentesi doppie casuali tipo “((Vasari, 1568))”. Dopo mesi di lavoro, si è accorta degli errori solo due giorni prima della consegna. Ha dovuto rifare manualmente 200+ citazioni.
Cosa accomuna questi tre casi? Fiducia cieca negli strumenti automatici senza un processo di verifica sistematico. E questa è esattamente la competenza che manca nella formazione universitaria italiana.
L’Impatto dei Sistemi Anti-Plagio Avanzati
C’è un altro aspetto critico che emerge nel 2025: i sistemi anti-plagio come Turnitin e Compilatio sono diventati molto più sofisticati. Non si limitano a confrontare il testo con database di pubblicazioni, ma analizzano anche la coerenza delle citazioni.
Cosa significa? Se citi “Rossi (2023, p. 45)” nel testo ma in bibliografia hai “Rossi, M. (2022)”, il sistema rileva l’incongruenza e la segnala come potenziale errore accademico. Se il tuo testo menziona concetti chiaramente derivati da una fonte, ma quella fonte non appare citata, il software può evidenziare il passaggio come plagio involontario.
Gli strumenti automatici di citazione, se mal configurati, possono paradossalmente aumentare il rischio di segnalazioni per plagio. Ho visto report Turnitin con percentuali di somiglianza del 25% dovute esclusivamente a citazioni mal formattate che il sistema non riconosceva come tali.

La buona notizia? Piattaforme come Tesify integrano controlli di coerenza interna che verificano automaticamente che ogni citazione nel testo corrisponda a una voce bibliografica e viceversa, riducendo drasticamente questo tipo di errori.
Ma arriviamo al cuore del problema: quali sono esattamente le verità scomode che nessuno ti ha mai detto sulle citazioni automatiche? Preparati, perché alcune potrebbero farti venire voglia di lanciare il laptop dalla finestra.
Le 7 Verità Scomode sulle Citazioni Automatiche (Che Nessuno Ti Dice)
Basta giri di parole. Ecco le verità brutali che emergono dall’esperienza di migliaia di laureandi italiani e che le aziende di software preferirebbero tu non scoprissi mai.
Verità 1: I Tool Sbagliano il 30-40% delle Volte con Fonti Italiane
La maggior parte dei software di gestione bibliografica è sviluppata in paesi anglosassoni e ottimizzata per fonti inglesi. Quando si tratta di monografie italiane, articoli su riviste nazionali, o atti di convegni pubblicati da editori minori, il tasso di errore schizza drammaticamente.
Uno studio interno dell’Università di Firenze (2024) ha testato Zotero, Mendeley ed EndNote su 500 fonti italiane miste. Risultato: solo il 62% delle citazioni generate era completamente corretta al primo tentativo. Gli errori più comuni includevano nomi di autori italiani con apostrofi o accenti mal gestiti (D’Angelo → DAngelo), case editrici italiane non riconosciute o confuse con omonime straniere, città di pubblicazione in formati non standard (esempio: “Firenze” vs “Florence”), e numerazione di riviste italiane non correttamente interpretata.
Il problema è strutturale: i database bibliografici internazionali (Crossref, PubMed, WorldCat) hanno copertura limitata per pubblicazioni italiane pre-2000. Se la tua tesi in storia, filosofia o letteratura italiana cita prevalentemente fonti nazionali degli anni ’80-’90, preparati a correggere manualmente almeno un terzo della bibliografia.
Verità 2: Nessun Software Riconosce Automaticamente le Citazioni Secondarie
Questa è forse la trappola più insidiosa. Immagina di leggere un libro di Umberto Eco (2000) in cui lui cita un’opera di Walter Benjamin (1936) che tu non hai mai letto direttamente. Come citi correttamente questa fonte?
La regola accademica universale dice: devi citare la fonte primaria (Benjamin) indicando che l’hai trovata nella fonte secondaria (Eco). In APA: “(Benjamin, 1936, citato in Eco, 2000, p. 123)”. In bibliografia va solo Eco, non Benjamin (a meno che tu non l’abbia consultato direttamente).
Nessun software automatico fa questa distinzione. Se importi sia il libro di Eco sia il riferimento a Benjamin, il tool genererà due voci bibliografiche separate come se tu le avessi consultate entrambe. È tecnicamente scorretto e può essere considerato disonestà accademica se il relatore se ne accorge.
La soluzione richiede intervento manuale: devi modificare la citazione nel testo e rimuovere dalla bibliografia le fonti che conosci solo indirettamente. Non esiste automazione per questo perché richiede comprensione semantica del contesto.
Verità 3: La Formattazione di Tesi, Articoli e Atti di Convegno Viene Spesso Confusa
I sistemi automatici categorizzano le fonti in “tipi”: libro, capitolo di libro, articolo di rivista, articolo di giornale, tesi, eccetera. Ma l’intelligenza artificiale alla base non è così intelligente. Confonde regolarmente tesi di laurea con working paper universitari, articoli in atti di convegno con capitoli di libro, preprint con articoli pubblicati, e recensioni di libri con articoli standard.
Ho visto Mendeley classificare automaticamente come “articolo di rivista” un contributo che era chiaramente un capitolo in volume collettaneo, solo perché il PDF era stato scaricato da un repository istituzionale con metadati ambigui.
Il risultato? Citazioni con formattazione ibrida tipo: “Rossi, M. (2022). Titolo. In Nome Convegno, 45(3), 123-145.” dove si mescolano elementi di diverse tipologie. Per un relatore esperto, questo grida immediatamente “lo studente non ha controllato”.
Verità 4: I DOI Mancanti o Errati Generano Riferimenti Incompleti
Il Digital Object Identifier (DOI) è un codice univoco che identifica permanentemente una pubblicazione accademica. Teoricamente, basta inserire il DOI in Zotero o Mendeley e il software scarica automaticamente tutti i metadati corretti. Teoricamente.
In pratica, almeno il 40% degli articoli italiani pre-2010 non ha DOI. Molte riviste nazionali hanno iniziato ad assegnare DOI retroattivamente solo dopo il 2015, e spesso con errori o duplicazioni. Ho trovato casi di stesso articolo con due DOI diversi a seconda del database interrogato.
Cosa succede quando il DOI manca o è sbagliato? Il software deve affidarsi ad altri identificatori (ISBN per libri, PMID per medicina) o ricorrere all’estrazione manuale. E qui il tasso di errore schizza oltre il 50%. Autori invertiti, titoli troncati, pagine sbagliate diventano la norma.
Peggio ancora: alcuni studenti inseriscono DOI “inventati” o copiati da fonti simili pensando che “basta che ci sia qualcosa”. Grave errore. Durante la discussione, se un commissario verifica il DOI e scopre che punta a un articolo diverso, sorgono domande molto scomode sull’integrità dell’intero lavoro.
Verità 5: L’Automazione Non Distingue tra Edizioni Diverse dello Stesso Testo
Classico esempio: citi Freud, L’interpretazione dei sogni. Ma quale edizione? La prima del 1899? La traduzione italiana Boringhieri del 1973? La ristampa del 2011 con introduzione di Recalcati? Non è la stessa cosa, e accademicamente devi citare l’edizione che hai effettivamente consultato.
I software automatici, quando trovano il libro per ISBN o titolo, spesso prendono la prima edizione disponibile nel database, che potrebbe non essere quella che hai in mano. Oppure mescolano informazioni: anno della prima edizione nel campo “date”, ma casa editrice della ristampa nel campo “publisher”.
Per i classici (Platone, Aristotele, Machiavelli…) il problema si amplifica: esistono decine di edizioni critiche, traduzioni, commenti. Citare “Platone (380 a.C.)” è tecnicamente corretto ma incompleto. Serve specificare l’edizione moderna consultata. Nessun tool fa questo automaticamente: richiede che tu inserisci manualmente i dati nel campo “extra” o “note”.
Verità 6: Le Fonti Web (Siti, Blog, Social) Sono il Tallone d’Achille di Tutti i Tool
Viviamo nel 2025. Gran parte della conoscenza è online. Report governativi in PDF, white paper aziendali, dataset Open Data, thread Twitter/X di esperti, podcast accademici, webinar registrati… Come si citano correttamente queste fonti?
Gli stili tradizionali (APA, Chicago, MLA) hanno aggiunto regole per le fonti web negli ultimi anni, ma restano ambigue e in evoluzione. I software automatici faticano enormemente perché le pagine web raramente hanno metadati strutturati affidabili, l’autore di un contenuto web non è sempre chiaro (organizzazione vs persona fisica), le date di pubblicazione e ultimo aggiornamento si confondono, e gli URL cambiano o le pagine spariscono (link rot).
Ho visto Zotero importare da un sito istituzionale con: Autore = “Webmaster”, Titolo = “Home – Ministero dell’Università”, Data = anno corrente anziché anno pubblicazione documento. Totalmente inutilizzabile senza revisione manuale pesante.
La regola d’oro: per fonti web, inserisci sempre manualmente i campi chiave (autore, data, titolo, URL, data di consultazione). L’importazione automatica è quasi sempre inaffidabile.
Verità 7: Gli Aggiornamenti degli Stili Possono Rovinare la Tua Bibliografia a Sorpresa
Questo è il colpo basso finale che nessuno ti dice. Gli stili di citazione (APA, Chicago, ISO 690) vengono aggiornati periodicamente dalle organizzazioni che li gestiscono. Quando ciò accade, i software automatici aggiornano i file CSL corrispondenti.
Problema: se hai già scritto metà tesi con lo stile APA 6° edizione e il tuo Zotero si aggiorna automaticamente alla 7° edizione, tutte le citazioni cambiano formato senza preavviso. Date che prima erano tra parentesi finiscono dopo il punto. Titoli che erano in corsivo diventano normali. Il caos.
La soluzione? Blocca la versione dello stile che usi all’inizio della scrittura e non aggiornarla fino alla fine. Ma quanti studenti lo sanno? Pochissimi. E così si ritrovano con bibliografie inconsistenti tra capitoli scritti in momenti diversi.
Ora che conosci le verità scomode, è il momento di capire come usare questi strumenti in modo intelligente, sfruttandone i vantaggi e minimizzando i rischi. Perché sì, nonostante tutto, l’automazione resta uno strumento potente se usato correttamente.